Ode al lampascione

Guide Ufficiali Parco Nazionale Alta Murgia
A cura di Angela Ciocia
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Nei miei ricordi d'infanzia ho a cuore un periodo dell’anno in cui il tavolo della cucina si riempiva “d’ vambasciùule”. Tra la fine di febbraio e marzo dalle mani di mia madre, per anni, ho visto passare centinaia di bulbi sferici a cui prontamente, con un taglio netto, venivano rimosse le radichette terminali e le tuniche esterne e poi praticata la tipica incisione a croce sul girello per favorire la cottura in acqua bollente. Ricordo il camino a legna e "la pgnat" di coccio a bocca larga in cui girovagavano per ore quei bulbetti rosati. Questo processo era il preludio a una variante della classica colazione di bambina: non più pane e latte ma pane e lampascioni conditi con olio e sale per far carico di fibre, potassio, calcio e gonfiore addominale. All’epoca non sapevo che quei bulbi potessero generare il caratteristico grappolo di fiori viola con ciuffo apicale, che vedo volteggiare sugli incolti dell'Alta Murgia tra aprile e maggio.

Quei cipollotti i miei genitori li compravano al mercato dove è facile trovarli anche oggi grazie a specifiche  tecniche di coltivazione che lo hanno reso un prodotto commerciabile. Ma in passato la raccolta era parecchio difficoltosa vista la profondità del bulbo selvatico (circa 30 cm) ed il rischio di confonderlo con altri di piante velenose come il colchico. La raccolta cominciava prima della fioritura da dicembre fino ad aprile, cercando di individuare con certezza le foglie basali, per raggiungere il bulbo con una zappetta a punta senza frantumarlo. Poiché molte bulbose hanno foglie basali lineari molto simili tra loro, a ulteriore conferma, prima di procedere con il prelievo, si ricorreva alla "prova della filatura" dove un lembo di foglia veniva strappato. Se emetteva tipici e caratteristici filamenti gommosi si era certi di aver individuato la pianta del lampascione.

Data la perdita di tempo ed il forte rischio di insuccesso nella raccolta, si usa dire ancora oggi nel nostro dialetto bitontino “Ce vù u vambasciùule tu a da scavèu” (se vuoi il lampascione te lo devi scavare) cioè un buon risultato si ottiene dopo aver faticato. In effetti ho provato una sola volta con un "maleppeggio" a raccogliere, nella mia campagna, una pianta in fiore con bulbo incluso: dopo svariati e maldestri tentativi, con grande orgoglio, conservo una preziosa foto di Muscari comosum nella sua interezza. Questo eletto cipollaccio non è andato perso perché quest'anno sta rigettando un nuovo scapo fiorale nel mio giardino. 

Al genere muscari appartengono diverse specie. Per esempio del Muscari botryoides sono edibili i fiori blu viranti al viola in insalate miste crude, ma in Puglia i bulbi del Muscari comosum, emblema della cucina povera contadina, si prestano a diverse ed esaltanti preparazioni: fritti, grigliati, sotto la cenere calda, in crema o patè; in particolare, i “lampascioni sottòlio” sono oggi inseriti nell’Elenco nazionale dei prodotti tipici tradizionali italiani.  Zio Michele classe ‘46 ha ancora l’abitudine di comprare chili e chili di lampascioni e una buona parte fra quelli interi e senza germogli li custodisce sotto terra nel mese di marzo. Quindi li dissotterra all'occorrenza, non oltre novembre, per confezionare e regalare squisiti lampascioni sottacéto tutto l’anno.

Il Muscari comosum appartiene alla famiglia delle Asparagaceae. Diffuso in tutta la penisola italiana fino a quote subalpine (1400 m) è una pianta erbacea, perenne e spontanea. Tra aprile e maggio, dalle foglie basali, emette lo scapo fiorale alto circa 60 cm che porta all'apice un racemo di fiori violacei fertili. I fiori superiori che terminano a ciuffo sono sterili e hanno il compito di attirare gli insetti impollinatori: da qui l'appellativo di comosum (chiomato). Si riproduce per seme o per bulbilli che si formano attorno al bulbo principale. A giugno dai fiori si formano capsule sferiche contenenti piccoli semi neri chiamati "occhi di pupattola". A fine giugno la parte aerea si dissecca ed il bulbo entra in stato di riposo.

È una specie tipica dei coltivi e del bordo campo. In passato abbondava sull'Alta Murgia tanto da essere considerata infestante: la lavorazione manuale del terreno favoriva il distacco dei bulbilli e quindi la diffusione, fortemente limitata dall’azione meccanica e profonda delle moderne arature. Poiché il bulbo commestibile, è il mezzo di propagazione vegetativa della pianta, ai fini della conservazione della specie, è vietata la raccolta nelle aree naturali protette.

sabato 17 Aprile 2021

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